LA CALUNNIA È UN VENTICELLO “SOCIAL”!
Commentiamo con l’avvocato Simone Labonia, i risvolti legali di una notizia di cronaca, riferita a calunnie pubblicate sui social, nei confronti di un alto prelato della provincia.
La diffamazione a mezzo stampa e sui social media, rappresenta una delle problematiche più complesse nell’ambito del diritto penale e dell’informazione, con implicazioni rilevanti sia dal punto di vista della normativa nazionale che delle giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
In Italia, la diffamazione è disciplinata dall’articolo 595 del Codice Penale, che prevede pene più severe quando l’offesa è commessa con il mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, o in atto pubblico. La norma stabilisce che chiunque, comunicando con più persone, offende la reputazione altrui è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro; se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, o della multa fino a 2.065 euro. Quando la diffamazione avviene tramite la stampa o con altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Le piattaforme social, considerate mezzi di pubblicità, amplificano la portata delle diffamazioni, rendendo le informazioni potenzialmente virali e difficili da rimuovere. La legge n. 47/1948 sulla stampa si applica anche alle pubblicazioni online, estendendo le responsabilità non solo agli autori ma anche ai direttori responsabili delle testate giornalistiche.
La Corte di Cassazione ha frequentemente ribadito l’importanza di tutelare la reputazione individuale contro abusi della libertà di espressione: anche i commenti sui social network possono configurare diffamazione aggravata se la diffusione dell’offesa è ampia e potenzialmente illimitata.
La velocità e la vastità di diffusione sui social media aumentano il danno alla reputazione dell’individuo, giustificando una severa applicazione delle pene previste.
A livello europeo, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha più volte esaminato casi di diffamazione, bilanciando il diritto alla libertà di espressione sancito dall’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo con il diritto al rispetto della vita privata e della reputazione dei singoli individui.
La giurisprudenza nazionale ed europea continuano a evolversi per affrontare le sfide poste dalla digitalizzazione, bilanciando il diritto alla libera espressione con la necessità di tutelare la dignità delle persone.